La profezia di Michele
E' con grande emozione che divulghiamo questo stralcio di un articolo che il nostro conterraneo Michele Saponaro (San Cesario di Lecce, 1885 – Milano,1959), scrittore e biografo illustre, pubblicò sul Corriere della Sera il 21 marzo 1931.
Ci ha colpito al cuore leggerlo oggi, a più di novant'anni da quando lo scrisse, pensando al nostro paesaggio inesorabilmente stravolto e mutato, ma sopratutto ci ha sorpreso la riflessione che fa il Saponaro della visione di paesaggio che avrebbero avuto le generazioni future (dunque le nostre) e quanto questa nuova prospettiva si sarebbe intrecciata con il nuovo modus di incontrarsi e di stare insieme, attraverso le "antenne delle stazioni ultrapotenti" che a noi han fatto venire in mente il WEB, Facebook, Istagram e chi più ne ha ...ma insomma: Buona lettura!
Testo tratto da
Olivi di Puglia («Corriere della Sera», 21 marzo 1931);
….Lungo tutto il litorale dell’Adriatico treni e olivi s’inseguono o si vengono incontro a vicenda. Quel dimenarsi dei rami ritorti e nodosi è veramente un gesticolo di saluti, una smania di abbracciamenti. Emersioni qui e là di vigna, di orti, di campi, poi l’oliveto si distende, dilaga, quasi a sommergere ogni altra vegetazione. Foresta ariosa, regolare e solare.
La terra cerca di sfuggire al mare, si contrae verso il promontorio di Leuca, e gli olivi acquistano importanza. Quanti secoli? Sono certo antichissimi, rami enormi e chiome rade.
Se altre testimonianze non ci fossero, mura e tombe, essi da soli starebbero ad attestare dell’antichità della regione. Tronchi spaccati e scoppiati, grotte profonde scavate entro la ceppaia.
Sono piantati a grande distanza l’uno dall’ altro. Lunghe file diagonali di colonne tortili e barocche, a perdita d’occhio, sostengono il padiglione del cielo, ch’è tutto un ricamo di foglioline infilato da lunghi raggi di sole.
Schieramento di colossi. La boscaglia è una moltitudine in tumulto, un modo di manifestarsi con grandezza e autorità della natura misteriosa.
L’oliveto, piantato e allevato dall’uomo, è un bosco che vive di vita propria, staccata dalla natura, piena di consapevolezza e dignità. E l’albero, docile o indifferente, dà tutto quello che gli si chiede, oltre l’olio per le mense e per gli altari: fascine per i forni, legna per i focolari, carbone per i bracieri, materi per i canestri e per le sporte.
Non è un individuo quest’albero, è una famiglia: ogni anno qualcosa in lui nasce e qualcosa muore. E chi sa se saran più le nascite o i decessi. Forse ancora le nascite. Per quanto il cimatore di ciocchi rami sprocchi e virgulti, per quanto il boscaiolo scheggi e rosicchi tronchi e bronchi, ogni primavera sfigliola dai ceppi nuovi polloni e riempie le chiome diradate di novella vegetazione.(…)
Ragazzo, ricordi quell’ odore che ti fa chiudere gli occhi appena metti i piedi fuori di casa, un odore amarognolo di legno intriso di pioggia, di cortecce rigonfie e screpolate, di fronde peste che non si sa che cosa sia e viene dall’oliveto sbattuto dall’ acquazzone? (…)
Ricordi, ragazzo che hai adocchiato la donzelletta tua coetanea, la dolce sorpresa di ritrovarvi insieme nel cavo di un tronco d’olivo - che è una premeditata sorpresa - annidati, rannicchiati entro il guscio del legno scabro, ginocchia contro ginocchia, viso contro viso? … Ieri?
lo penso a quegli altri ragazzi che inutilmente cercheranno un covo ospitale, dove (...) ci si possa per la prima volta trovare a convegno involontario e sentir piacere di tenersi stretti l’uno all’ altra e non aver paura dell’aria che si fa nera né dei caprai che passano e non vedono.
Ma la natura è più forte degli uomini e del tempo: non si saprà mai quando essa si servirà degli uomini e del tempo per ringiovanire gli oliveti che sembrano in agonia per far crescere e fruttificare alberi nuovi dove pareva stesse per estinguersi una eredità di secoli.
Se non che i giovani amanti ne faranno a meno, poiché avran preso l’abitudine di darsi convegno a volo tra le nuvole protettrici; e il giorno che traboccherà su la terra un nuovo diluvio la colomba annunziatrice del sereno recherà nel becco un fil di ferro strappato alle antenne delle stazioni ultrapotenti.
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